Atlantide: istruzione per l’uso

Atlantide è stata ed è uno dei più sicuri forzieri dell’immaginazione umana. E’ una città senza principio né fine, che si nasconde da qualche parte – o, meglio, da molte parti – nel profondo del mare e senza mostrarsi mai (almeno di questo siamo convinti noi moderni) riempie di sé, delle proprie bellezze, delle proprie immagini e delle prove della propria esistenza le pagine dei libri, le dissertazioni dei filosofi e, naturalmente, quella che, con un termine troppo abusato, chiamiamo memoria collettiva.

Atlantide è una città e come tutte le città ha un suo piano regolatore, delle costanti architettoniche che ne delineano l’immagine, l’aspetto fisico. Nondimeno le sue architetture sono esclusivamente costruzioni del pensiero, proiezioni personali di misure e geometrie che provengono dal mondo delle idee. “Le città – dice Calvino ne Le città invisibili – sono un insieme di tante cose: di memoria, di desideri, di segni di linguaggio; le città sono luoghi di scambio, come spiegano tutti i libri di storia dell’economia, ma questi scambi non sono soltanto scambi di merci, sono scambi di parole, di desideri, di ricordi”.

Atlantide è costruita su queste strutture e con questi elementi; i palazzi, le strade e persino le colonne e le singole pietre dei suoi edifici sono fatti di memoria, di desideri, di pensiero e, talvolta, di utopie.

Il suo aspetto tuttavia, non è importante – benché sarebbe interessante, partendo dalle numerose descrizioni, ricostruire e mettere a confronto le sue differenti “versioni” -, come non lo è la sua esistenza. La grandezza di Atlantide non risiede nelle cronache, nelle azioni dei suoi cittadini, nella solennità dei suoi palazzi ma, al contrario, nella fragilità e nel mutamento costante della sua immagine, nelle linee sfuocate che la circondano, nella sua virtualità.

Come in un puzzle anche in Atlantide, l’elemento fondamentale non è ciò che appare, bensì il taglio dei singoli pezzi che ci permette di ricostruire un’immagine. In questo gioco compositivo è permesso a chiunque di incastrare nel posto giusto il proprio piccolo pezzo che consenta di realizzare visivamente la città nascosta, senza, tuttavia, dimenticare che quest’ultima sarà soltanto un’illusione ben costruita.

A questa illusione partecipa l’installazione di Inés Fontenla. L’artista, scegliendo un taglio pseudo scientifico, realizza la propria Atlantide sulle descrizioni di Platone e ne espone dei frammenti sovrapponendoli a un’immagine proiettata. Fontenla stabilisce una relazione tra la realtà dell’immagine fotografica e la finzione dell’oggetto – una colonna di sabbia, incapace di “sostenere” -, sovvertendo il luogo comune secondo cui un’immagine, per sua natura, è soltanto un simulacro. Atlantide, nella realizzazione dell’artista argentina, è lo spazio delle idee, un luogo la cui realtà è data dalla presenza di molti pensieri o, meglio, dalla capacità costruttiva del pensiero.

E inoltre, Atlantide – ma sarebbe meglio dire questa Atlantide – è una riflessione sulla natura dell’immagine, sulla sua ambiguità, sulla sua prerogativa di essere contemporaneamente inganno dei sensi e corpo aggregante e nuova mitologia.

Cecilia Casorati


ATLANTIDE



1999 - Roma - Studio d’arte contemporanea Pino Casagrande